Dio ti benedica, Papa Benedetto!
Per i cattolici sinceri, coloro per i
quali la fede non è un qualcosa che si può arrangiare, annacquare o
mescolare a seconda dei gusti e del momento, questo è davvero un
giorno molto triste. Succede sempre, quando si spegne, o quantomeno
si offusca, una luce forte, una stella fissa a cui si sapeva di poter
guardare in un momento di crisi, di difficoltà, di sbandamento di cui
la nostra esistenza è piena.
Perché essere cristiani – come del resto, in generale, essere uomini –
non è affatto una cosa semplice, soprattutto nei nostri tempi. Mai
come oggi forse l’uomo ha preso coscienza della sua debolezza e
fragilità: nonostante la tecnologia, nonostante i cosiddetti progressi
(dato ma tutt’altro che concesso che siano davvero tali) in campo
economico e sociale la grande domanda, il primo e l’ultimo dei perché
(perché si vive), rimane sempre senza risposta … a meno che non la si
cerchi, appunto, “altrove”, in un qualcosa che umano non è.
Non è obbligatorio, certamente. La fede non si può certo imporla,
forse è un dono, forse una debolezza, ciascuno dia la sua risposta.
Quel che è certo è che la fede sostiene milioni e milioni di esseri
umani; e spesso illumina ed è capace di rischiarare non solo la
propria vita, ma anche quella di chi ci sta vicino.
Il Vangelo, la fede Cristiana, si basa sul più frainteso e travisato
dei concetti: l’amore. Significativo che la prima e l’ultima enciclica
scritte da questo papa siano nel segno della Carità; Deus Caritas est
(2006) e Caritas in Veritate (2009). Una sorta di parola d’ordine del
suo pontificato, da quel fatidico “Habemus Papam” che risuonò con
gioia e solennità in San Pietro il 19 aprile del 2005. E la Carità
altro non è che l’amore che lega il Creatore alle sue creature e di
conseguenza che dovrebbe legare le creature tra loro.
Ma come ben sappiamo, le suddette creature sono di solito impegnate a
fare ben altro. E soprattutto, l’epoca moderna ha sempre più
confinato la fede nel cantuccio dei pensieri di cui preoccuparsi, se
mai, a data da destinarsi e purché possa condividere con diverse
altre cose: in sostanza, con tutto ciò che fa “comodo”.
Ecco quello che sfugge alla comprensione dei giorni nostri: un
semplice, elementare principio che si chiama coerenza e che non
consiste, nel caso del Cristiano, nel ritenersi più santi degli altri
(anzi, questo è il primo dei vizi capitali, la superbia) ma nella
ferma consapevolezza che esistono dei valori e dei principi a cui non
si può rinunciare: la cui accettazione o la cui rinunzia determinano
il confine tra l’essere o meno cristiani. E la coerenza consiste in
questo, non nel “cadere” mai lungo una strada oggi più che mai piena
di vicoli ciechi e di passi falsi. Se così non fosse, Cristo non
avrebbe dovuto istituire la Confessione.
Ecco la prima battaglia di questo grande pontefice: quella contro il
relativismo, che pretende di annullare il bene e il male creando un
“grigio” informe e sostanzialmente neutrale, ma anche di negare
l’esistenza di una verità. La verità non esiste? Per il Cristiano una
simile affermazione è priva di senso … o lo è la sua fede.
“Viviamo in un tempo caratterizzato, in gran parte, da un relativismo
subliminale che penetra tutti gli ambiti della vita. A volte, questo
relativismo diventa battagliero, rivolgendosi contro persone che
dicono di sapere dove si trova la verità o il senso della vita.
E notiamo come questo relativismo eserciti sempre di più un influsso
sulle relazioni umane e sulla società. Ciò trova espressione anche
nell’incostanza e nella discontinuità di tante persone e in un
eccessivo individualismo. Qualcuno non sembra affatto capace di
rinunciare a qualcosa o di fare un sacrificio per altri. Anche
l’impegno altruistico per il bene comune, nei campi sociali e
culturali, oppure per i bisognosi, sta diminuendo. Altri non sono più
in grado di legarsi in modo incondizionato ad un partner. Quasi non si
trova più il coraggio di promettere di essere fedele per tutta la
vita; il coraggio di decidersi e di dire: io ora appartengo totalmente
a te, oppure di impegnarsi con decisione per la fedeltà e la veracità,
e di cercare con sincerità le soluzioni dei problemi. “[1]
Così il papa in un suo discorso pronunciato in Germania ( Freiburg) il
24 settembre 2011. In questo passaggio vi sono alcuni dei punti
centrali del suo pontificato: il richiamo alla famiglia, ad una vita
orientata ad un progetto consapevole e non a un puro edonismo, al
rispetto dell’ordine “naturale”. Punti su cui è stato ferocemente
attaccato e deriso, anche in modo pesantemente insultante; così come
non è stata compreso il suo intervento contro alcune “degenerazioni”
anche in campo liturgico dovute ad interpretazioni troppo disinvolte
del Concilio Vaticano II. Grazie a Benedetto XVI , tra l’altro, coloro
che desiderano seguire il millenario Rito Romano Antico non si
sentono più come confinati in una sorta di riserva indiana.
Restano da capire i motivi, reali e profondi, di un gesto che comunque
sconcerta e lascia stupiti. La salute, le forze che si indeboliscono
possono davvero aver indotto un combattente come Ratzinger a lasciare
il timone della barca di Pietro? Il rispetto della decisione obbliga
alla discrezione, al non fare sterili esercizi di dietrologia. In una
società come la nostra, in cui, soprattutto in Italia, il potere è
visto come una suprema divinità a cui sacrificare ancor prima che
l’ultimi respiro, anche l’ultimo brandello della propria dignità, un
gesto simile può certo parere incomprensibile. Forse il Santo Padre
vuole evitare di ridursi alla stremo delle forze, lasciando il governo
della Chiesa in mano a collaboratori porporati forse, ma non per
questo fidati o fedeli; oppure proprio la gravità dei tempi lo ha
indotto a lasciare per tempo a un successore che sia degno di lui, e
che forse può anche avere in mente, anche se poi certo la scelta
spetterà ad altri (e speriamo bene nello Spirito Santo!)
Non è stato un pontificato facile, quello di Benedetto XVI. Per certi
aspetti è stato davvero un “portare la croce, compito che assolto
veramente con passione e perfetto spirito cristiano. Un esempio per
questi tempi difficili, a cui si spera guardi per primo il suo
successore.