La sala da pranzo pontificia è di una semplicità sbalorditiva, con il lungo tavolo di legno scuro coperto solo da una tovaglia bianca e le candele che inondano di luce soffusa l’ambiente. Il Papa è seduto a tavola, da solo. Ha davanti un piatto fumante di funghi trifolati. Chiude gli occhi e annusa con diletto il profumo che vi si sprigiona: gli ricorda la sua Toscana. Mangia con gusto e pulisce il piatto con un pezzo di pane. Si appoggia allo schienale e guarda il piccolo piatto di pecorino posto sul tavolo, che dovrebbe chiudere il suo pasto. Ma stranamente non sente la voglia di mangiarlo. Anzi, sente un po’ di nausea. La testa gli gira e si alza, ma la nausea lo travolge…
È il 23 settembre 1534 e il papa è Clemente VII (1478-1534), discendente dalla grande famiglia dei Medici di Firenze. Morirà di sofferenze atroci due giorni dopo, a causa dei funghi velenosi che aveva consumato in quell’ultimo pasto. Il “colpevole” era un fungo molto tossico, l’Amanita phalloides. È un fungo micidiale, i cui effetti nefasti si manifestano dapprincipio come una gastroenterite severa. Poi si osserva un periodo di apparente remissione, seguita dal collasso di tutti gli organi interni, il fegato in primis, e quasi sempre la morte, entro massimo 48 ore dall’ingestione.
Questo Papa finisce in modo misero, con questa morte terribile, che gli fa torto. “A volte i grandi uomini hanno delle morti grottesche e ci sentiamo traditi. Chissà perché ci aspettiamo che la morte dei personaggi famosi sia intonata alla loro grandeur”; scrive Balzac all’amico Jérôme de la Falaise, commentando la morte di un comune conoscente, famoso, di cui però non menziona il nome, morto in una bettola. Forse questa riflessione si applica anche a questo pontefice, che ha avuto una vita straordinaria.
Nasce illegittimo e postumo alla morte del padre, che non è altro che Giuliano de’ Medici (1453-1478). Quest’ultimo viene ucciso nella Congiura dei Pazzi un mese prima della sua nascita. La madre, Fioretta (in realtà Antonietta), è figlia di un certo Antonio Gorini, professore. Di lei si sa poco: è morta lo stesso anno della nascita del figlio – battezzato con il nome di Giulio – ed è immortalata da Sandro Botticelli nel “Ritratto di giovane donna” (1475), dipinto conservato a Palazzo Pitti.
Sappiamo che il piccolo Giulio fu affidato per i primi dieci anni della sua vita, dallo zio Lorenzo il Magnifico, all’architetto Antonio da Sangallo il Vecchio (1453-1534), specializzato in progetti di fortificazioni. Infine Giulio è stato legittimato dai Medici ed è entrato ufficialmente a fare parte della loro ricca e potente famiglia. A dieci anni lo zio lo prese sotto la sua diretta protezione. Brillante uomo d’affari, Lorenzo de’ Medici riuscì a convincere Ferdinando I d’Aragona a concedergli il priorato di Capua dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme per il giovane nipote: era un beneficio prestigioso e molto remunerativo. Qualche anno più tardi troviamo Giulio a Bologna, dove si era rifugiato nel 1495. E poi a Roma, ospite del cugino cardinale Giovanni de’ Medici (1475-1521), diventato poi papa Leone X.
Nel 1513, con l’elezione di Leone X, Giulio ebbe la concessione dell’arcidiocesi di Firenze e, il 23 settembre dello stesso anno, dopo una serie di procedure e dispense per superare lo scoglio della sua nascita illegittima, fu creato cardinale. Dopo questa nomina iniziò la sua inarrestabile ascesa, caratterizzata da una grande ricchezza di benefici ecclesiastici e da un ruolo molto delicato all’interno della politica pontificia. Tra le sue azioni è da ricordare il tentativo di costituire un’alleanza con l’Inghilterra, per aiutare Leone X a contrastare le mire egemoniche di Francia e Spagna; per questo motivo fu nominato cardinale protettore d’Inghilterra. La caratteristica principale della politica di questo periodo fu la ricerca di un equilibrio tra i prìncipi cristiani e l’indizione del Concilio Lateranense V (1512-1517), durante il quale Giulio si impegnò nella lotta contro le eresie.
Sia come arcivescovo che come governatore si dimostrò un abile uomo di governo. Pur ricevendo spesso incarichi e missioni diplomatiche per conto del Papa, non trascurò mai la sua arcidiocesi e con la collaborazione del suo vicario generale Pietro Andrea Gammaro volle conoscere, attraverso i singoli inventari, la situazione di tutte le chiese sotto la sua giurisdizione. Nel 1517 tenne un sinodo di tutto il clero diocesano. Da cardinale diacono, nel frattempo, fu dichiarato cardinale presbitero, con il titolo di San Clemente (26 giugno 1513) e poi di San Lorenzo in Damaso. Nel 1522 sventò una congiura tramata contro di lui e fu inflessibile contro i suoi nemici.
Il 9 marzo 1517 fu nominato vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, incarico che gli diede modo di mettere alla prova le sue qualità diplomatiche, mostrando un contegno serio e illibato in confronto alla presunta dissolutezza del cugino. Mentre cercava di organizzare una crociata contro i turchi, che Leone X reputava assolutamente necessaria, dovette risolvere due problemi: la protesta luterana e la successione dell’Impero che, dopo Massimiliano I, toccò al nipote Carlo, già re di Napoli. Nel corso del 1521 la situazione di Firenze (di cui era governatore cittadino) lo fece allontanare abbastanza spesso da Roma, ma l’improvvisa morte del Papa, avvenuta nello stesso anno, lo costrinse a tornare a Roma per partecipare al conclave. Fu eletto Adriano VI, di cui aveva sostenuto la candidatura per ottenere l’appoggio di Carlo V.
Il 3 agosto 1523 l’opera diplomatica di Giulio fu coronata di successo, con la ratifica dell’alleanza tra il papato e Carlo V. Poco dopo, nel settembre 1523, morì Adriano VI, e Giulio, con l’appoggio dell’imperatore, dopo un conclave lungo e difficoltoso, durato dal 1º ottobre al 19 novembre 1523, fu eletto al soglio di Pietro assumendo il nome di Clemente VII. L’elezione del nuovo pontefice venne salutata con entusiasmo, anche se certe aspettative si dimostrarono mal riposte: Giulio de’ Medici risultò incapace di risolvere con decisione i problemi che dovette affrontare. Cercò di mantenere una politica di neutralità nella contesa tra Carlo V e Francesco I di Valois per il predominio sull’Italia e sull’Europa; Carlo V era intenzionato a restaurare l’Impero, ammodernando le sue strutture amministrative e perseguendo una politica espansionistica, che lo portava in rotta di collisione con il re di Francia.
E qui comincia una storia che vede coinvolti i grandi del tempo vissuti in quel periodo. In realtà sono dei grandi della Storia. E Clemente VII è protagonista di diversi episodi storici degni di nota. Per ragioni di spazio ne citiamo solo qualcuno, senza entrare troppo nel merito: i lettori si faranno un piacere ad approfondirli per conto proprio. Così, vediamo Clemente VII coinvolto nella Lega di Cognac (1526), creata insieme a Francesco I e Francesco Maria Sforza (oltre che alle città di Firenze e Venezia) per scacciare gli imperiali dall’Italia. Lo troviamo ad agire durante e dopo il Sacco di Roma (1527) durato un mese e alla fine del quale il Papa capitolò.
È protagonista dello Scisma anglicano: incontra Thomas More (futuro san Tommaso Moro, grande umanista e abile giurista), inviato a Roma da Enrico VIII che voleva ottenere il divorzio dalla moglie Caterina d’Aragona. Ma Clemente non solo non lo assecondò ma lo scomunicò pure, l’11 luglio 1533. Il re rispose allora con l’Atto di Supremazia, votato dal Parlamento il 3 novembre 1534, che lo dichiarava re supremo e unico capo della Chiesa d’Inghilterra, attribuendosi quel potere spirituale che fino a quella data era stato appannaggio esclusivo del pontefice. Chi, come lo stesso Thomas More, rifiutò di accettare con giuramento il provvedimento e di riconoscere il nuovo matrimonio del re, con il relativo ordine di successione al trono, fu considerato reo di alto tradimento e punito con la morte.
Clemente VII, da vero Medici, fu anche un grande mecenate: sviluppò la Biblioteca Vaticana, continuò la costruzione della Basilica di San Pietro, portò a termine i lavori del Cortile di San Damaso e di Villa Madama. Incaricò, inoltre, Michelangelo di affrescare la Cappella Sistina con il Giudizio Universale, seguendone personalmente i lavori. Commentò e fece pubblicare tutte le opere di Ippocrate. Nel 1528 approvò l’Ordine dei Cappuccini e, nel 1530, approvò i Chierici Regolari di San Paolo (detti Barnabiti).
Fu un grande stratega politico e diplomatico, ha vissuto una vita straordinaria, ma ha conosciuto una morte assurda: Balzac la considererebbe inadatta. Comunque, il 25 settembre si avvicina e con esso l’anniversario della morte di questo notevole papa, abbattuto da un fungo.
di Diana MARABINI