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Il mistero e il senso della morte, alla luce di Cristo

La commemorazione di tutti i fedeli defunti ci spinge non solo a onorare i nostri cari ma anche a riflettere sul senso della morte. Cristo ci insegna che il dolore, le prove e in definitiva la morte, vissuta in unione con Lui, ci renderanno partecipi della sua resurrezione.

Non si può dire il contrario: la morte rimane un mistero. Come la nascita. Umanamente difficile da comprendere, la morte entra nelle case di ognuno e con sé lascia sempre quell’amarezza legata alla perdita: uno stato d’animo che ci lascia vuoti, disorientati e senza parole. Uno stato da superare: gli psicologi chiamano questo periodo “elaborazione del lutto”. Quel momento in cui l’uomo cerca, appunto, di elaborare la perdita del caro estinto. Oggi, giorno della commemorazione di tutti i fedeli defunti, in fondo, ci spinge ancor di più sì a onorare i nostri cari, ma anche a riflettere sul senso della morte. Sembra quasi che ci sia sempre una certa difficoltà ad entrare in questo tema: tutto naturale. Eppure dovremmo essere proprio noi cristiani a essere, in un certo senso, “facilitati” nel riflettere su ciò.

Lo insegna, prima di tutto, Gesù Cristo e la sua vicenda umana e divina: dopo la Passione, muore in croce e resuscita il terzo giorno. Anche in questo evento, il Vangelo è davvero chiaro nell’illustrare il senso della morte. Ma non solo, riesce anche a presentarci il passaggio (del tutto umano) dell’elaborazione del lutto delle persone a lui care: prima fra tutte la Madre, la Vergine Maria; poi, il disorientamento degli apostoli stessi davanti a un evento che li fa rimanere senza parole. Ma sappiamo anche che tutto questo dolore e vuoto vengono spazzati in un solo istante quando la notizia, il messaggio della Resurrezione, comincia a diffondersi tra i cristiani. «L’annuncio cristiano sulla morte nasce dalla Pasqua. Con Gesù Cristo abbiamo la rivelazione piena della vita, in tutta la sua ampiezza: anche quella eterna; e nella sua sensatezza: una vita spesa nell’amore, fino al dono di sé – e per questo anche della morte. È una testimonianza che avviene nella sua stessa morte, centro della stessa rivelazione. Qui si apre lo spazio per la vita cristiana: la sua dimensione salvifica. Ciò che è un dramma può essere vissuto con senso. Ora, per il cristiano, il morire con Cristo significa vivere la medesima esperienza pasquale», la stessa vittoria sul male e sulla morte. Così scrive padre Francesco Scanziani nel suo Così è la vita. Il senso del limite, della perdita, della morte (Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007). Nella sintesi estrema lo aveva scritto già san Paolo: «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor 15,55).

E sul tema della morte non sono pochi i santi che hanno voluto lasciarci il loro pensiero. Primi fra tutti, i Padri della Chiesa. Interessante è la meditazione, ad esempio, di sant’Antonio abate: «Se vivremo (…) come se ogni giorno dovessimo morire, non peccheremo. Questo significa che ogni giorno, quando ci svegliamo, dobbiamo pensare che non arriveremo fino a sera, e di nuovo, al momento di coricarci, dobbiamo pensare che non ci sveglieremo più. La nostra vita è incerta per natura ed è misurata giorno per giorno dalla Provvidenza. Se ci comporteremo così e se così vivremo giorno per giorno, non peccheremo, non proveremo desiderio di nulla, non ci adireremo con nessuno né accumuleremo tesori sulla terra, ma, aspettandoci di morire ogni giorno, non possederemo nulla e perdoneremo tutto a tutti; non saremo dominati dalla concupiscenza per la donna o da altro piacere impuro, ma ce ne allontaneremo come da cose destinate a passare, lottando sempre e tenendo davanti agli occhi il giorno del giudizio». Citazione lunga, ma doverosa: le parole di sant’Antonio abate infatti leggono la morte sotto diversi aspetti, tutti essenziali per condurre la nostra esistenza.

Meditare sulla morte è stato un punto-chiave delle riflessioni di sant’Agostino, altro Padre della Chiesa. Agostino, l’uomo che non credeva e che dal cristianesimo rimase folgorato. Figura centrale della sua conversione, la madre Monica. E di questa morte, Agostino scrive nelle sue Confessioni: «A noi che le chiedevamo se non temesse di lasciare il suo corpo così lontano dalla sua città, disse: “Niente è lontano da Dio e non c’è da temere che Lui non conosca alla fine del mondo donde risuscitarmi”. Pertanto, il nono giorno della sua malattia, nel cinquantaseiesimo anno della sua età, nel trentatreesimo della mia età, quell’anima religiosa e pia, fu sciolta dal corpo». Agostino usa un verbo, sciogliere, che riesce a donarci lo spunto su ciò che significa per lo stesso santo il mistero della morte. Nelle Confessioni, Agostino ci mostra che la vera preparazione alla morte è una vita vissuta nell’amore di Dio; una vita che, pur attraverso le tante fatiche e le prove, si apre alla speranza di una comunione-unione eterna con il Creatore. Davanti alla morte, quindi, non c’è da temere: bisognerebbe accogliere questa come il passaggio finale verso l’abbraccio amoroso del Padre.

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I riferimenti ai Padri della Chiesa erano doverosi. Ma anche molti altri santi, nei secoli successivi, hanno scritto sulla morte. Si pensi ai versi del Cantico delle Creature di san Francesco d’Assisi: «Laudato sii, mio Signore, per sorella nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scappare: guai a quelli che morranno nei peccati mortali; beati quelli che troverà nelle tue santissime volontà, ché la morte seconda non farà loro male». Anche san Francesco, davanti alla morte, non teme nulla: ringrazia il Signore, lo loda perché in essa non vede una nemica ma una sorella.

Veniamo al nostro recente passato: san Giovanni Paolo II. Il pontefice polacco, durante l’udienza generale del 2 novembre 1988, pone delle domande che, proprio oggi, per la commemorazione di tutti i fedeli defunti, ci interrogano molto sulla nostra esistenza e sul rapporto che abbiamo con questo profondo mistero: «Dovremmo forse chiederci, anche noi cristiani, se e come e quanto sappiamo pensare alla morte. E come sappiamo parlare della morte. Eppure, una delle verità fondamentali del nostro Credo non è forse una certa concezione della morte? Non offre forse la nostra fede una luce decisiva – ed estremamente consolante – circa il significato e – potremmo dire – il valore della morte? Infatti, è proprio così, cari fratelli e sorelle: per noi cristiani, la morte è un valore. È, sì, vero che la morte, per noi cristiani, è e resta un fatto negativo, al quale la nostra natura si ribella; eppure, come sappiamo, Cristo ha saputo fare della morte un atto di offerta, un atto di amore, un atto di riscatto e di liberazione dal peccato e dalla morte stessa. Accettando cristianamente la morte noi vinciamo – e per sempre – la morte».